William S. Burroughs – I fumatori neri e l’arte del fucile – (testo di Doug Hitchcock, traduzione di Anita Baruchello Tribbioli)
Lo scrittore William Burroughs strizzò gli occhi blu ghiaccio e scrutò il lato operativo della lama di un coltello da caccia ben affilato. Ne saggiò il filo con l’unghia, per controllare eventuali difetti; soddisfatto lo impugnò per il manico e brandì l’arma come in un duello di strada. La lama lucente sembrava ancor più massiccia, rispetto alla scarna struttura fisica dello scrittore. ” Se un cane ti attacca – disse fendendo ripetutamente l’aria con la lama – beh, è un cane morto, caro mio. Conosci la leggenda di Jim Bowie? Ammazzò tre uomini in tre secondi – con le teste spaccate a metà come meloni. Il segreto stava nel fatto che loro erano armati di coltelli, mentre lui aveva una piccola spada”.
Scomparve col coltello nella stanza da letto e ne riemerse prima con una pistola calibro 22 a nove colpi, poi con una magnum di grosso calibro e infine con una pistola calibro 44 dall’aria efficiente. Tolse con cura i proiettili da ognuna di esse, prima di passarle agli ospiti. “Questa – disse sollevando la 44 – è una bella arma”. La pistola era come lucida morte azzurro-scura nella mano cerea di Burroughs. Mirò al muro del bagno.
“Il buco da cui entra il proiettile è più o meno della grandezza di una matita. Quello da cui esce è abbastanza grande da ficcarci dentro tutto il pugno, ammesso che si abbia voglia di fare un cosa del genere”.